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Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche
SAN GIOVANNI IN CONCA
Sulle tracce
della chiesa scomparsa
La basilica di San Giovanni in Conca, di cui oggi rimangono solo i ruderi nel pieno centro milanese, ha una storia sconosciuta ai più, ma molto gloriosa. Amatissima dai signori di Milano, i coniugi Bernabò Visconti e Regina della Scala, che ne fecero la loro cappella palatina, fu un edificio di notevole pregio architettonico e storico-artistico. Obiettivo e sfida della ricerca: restituirla alle sue antiche e splendide vestigia trecentesche.
All’uscita della metropolitana milanese, linea gialla, fermata Missori, ci si trova immersi in un contesto urbanistico pienamente novecentesco: in questo luogo si trovano infatti l’imponente Hotel dei Cavalieri, progettato dall’architetto Emilio Lancia nell’immediato dopoguerra, e verso piazza Duomo le severe architetture che nel corso del Novecento hanno preso il posto dell’antico quartiere del Bottonuto, un tempo esteso fino alla zona di Palazzo Reale.
In questo scenario decisamente consueto per i milanesi si trovano i resti di un edificio in mattoni rossi, singolarmente collocato come spartitraffico tra i due sensi di marcia della frequentatissima via Albricci.
Sono i ruderi di un luogo che, nel corso del Trecento, fu amatissimo dai coniugi Bernabò Visconti e Regina della Scala: signori di Milano. Si tratta della chiesa di San Giovanni in Conca, monumento che conobbe varie fasi architettoniche a partire da quella paleocristiana, alla quale seguirono la fase romanica — attestata dalla cripta che, ancora oggi al di sotto del manto stradale, si sorregge grazie a una selva di colonnine di pietra — e quella tardo medievale, ormai scomparsa, ma salvatasi nel ricordo attraverso alcune delle più importanti testimonianze dell’arte lombarda trecentesca.
Tra queste vi sono lo spettacolare monumento funebre per Bernabò Visconti e i resti di un ciclo di affreschi dedicato al santo titolare dell’edificio, entrambi conservati oggi in una delle sale del Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco.
Proprio questi affreschi erano ancora visibili all’inizio del Cinquecento, epoca alla quale risale la segnalazione del patrizio veneziano Marco Antonio Michiel, che annotava come “In S. Zuan in Choncha” si trovassero “pitture a fresco antique”, che ancora nei suoi giorni risplendevano “come specchii”.
La sfida che ci proponiamo di affrontare è quella di rintracciare le vestigia di questo glorioso passato e di restituire a questo rudere in laterizio la spazialità trecentesca che un tempo gli appartenne.