SAN GIOVANNI IN CONCA

Primi risultati inediti

Storia di distruzioni
e salvataggi

di Federico Riccobono

Parzialmente mutilata nella seconda metà dell’Ottocento perché d’intralcio a un innovativo piano urbanistico che doveva realizzare “il più bel rettilineo di Milano”, San Giovanni in Conca fu completamente demolita a metà del Novecento, sempre in nome del progresso viario cittadino. Qualcosa fu salvato — la cripta e una parte dell’abside — e qualcosa naufragò — la facciata e un ciclo di affreschi — per approdare su altri lidi, più sicuri e al riparo dall’impellente modernità.

Il destino di quella che era stata la basilica di San Giovanni in Conca venne inevitabilmente segnato da quanto il Comune di Milano decise nel 1879.

Alla fine, il Comune di Milano, tranne alcune voci discordanti tra cui è bene ricordare Tito Vespasiano Paravicini, si dimostrò disposto a sacrificare uno dei monumenti più antichi e preziosi, in nome della moderna viabilità e del decoro urbano. La Giunta comunale, che si riunì in seduta straordinaria nell’estate del 1879, decretava la demolizione parziale della basilica di San Giovanni in Conca, che si trovava fatalmente proprio nel mezzo del percorso viario previsto, permettendo così che l’asse stradale di via Carlo Alberto (oggi via Mazzini), definito “il più bel rettilineo di Milano”, raccordasse finalmente la nuova sistemazione di piazza Duomo all’antico corso di Porta Romana.

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E così la chiesa, già da tempo sconsacrata e adibita ai più svariati usi — tra cui rimessa per le carrozze, ricovero per macchine agricole in vendita, manifattura di indumenti militari e quant’altro — avrebbe dovuto arretrare e dare così lo spazio necessario affinché la via trovasse il proprio sbocco su quella che di lì a qualche decennio sarebbe diventata piazza Missori.

La demolizione, come abbiamo detto, fu parziale.

Veniva infatti distrutta la parte anteriore della chiesa, ovvero le prime campate partendo dalla facciata; quest’ultima poi sarebbe stata smontata e arretrata, unendola a quel che rimaneva dell’edificio, ma la facciata porta con sé altre vicende che saranno narrate in altre storie.

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Rimanevano in piedi la grande campata antistante al presbiterio, l’abside e, naturalmente, la cripta sottostante.

Quella prima parziale demolizione, supervisionata da Angelo Colla (1827-1892) tra il 1880 e il 1885, permise alcune preziose indagini archeologiche, al di sotto della porzione di chiesa che si andava smantellando, non prive di sorprese. Alcune porzioni di pavimentazione a mosaico appartenenti, rispettivamente, alla fase più antica della chiesa tra IV e VII secolo e a un sottostante edificio privato del III secolo d.c., riemersero dalla terra riproponendo agli studiosi di allora interrogativi sulla storia del sito e della chiesa, che all’epoca appariva, più di oggi, misteriosa.
Passano gli anni. Nel 1916 si inaugura il nuovo assetto di piazza Missori, con la statua equestre dell’omonimo militare e patriota italiano.

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Intanto, a partire dal 1934, il nuovo piano regolatore del Comune di Milano fa terra bruciata intorno a quel che rimane della chiesa, all’epoca tempio valdese.

Infatti, entro il 1936, insieme al quartiere del Bottonuto, venne abbattuta la vicina chiesa di San Giovanni in Laterano. Non furono però tanto le rimostranze dei Valdesi o gli appelli della Soprintendenza “affinché questo importantissimo monumento già mutilato ed alterato nelle sue forme originarie non solo non venga distrutto ma sia anche restaurato”, quanto piuttosto lo scoppio della Seconda Guerra mondiale a congelare ogni cosa, compresi i lavori che avrebbero dovuto modificare per sempre la zona intorno alla chiesa.

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Tutto ripartirà appena dopo la fine del Conflitto.

Con la creazione di piazza Diaz, nel cuore un tempo pulsante del quartiere del Bottonuto, ecco anche l’esigenza di aprire il collegamento di via Alberico Albricci con via Larga, parte di un progetto di viabilità più ampio, solo parzialmente realizzato, e l’edificio e il grumo di case intorno a esso si trovavano, neanche a dirlo, a ingombrarne il passaggio.
Nel biennio 1948-1949, dopo un infinito e teso “tira e molla” tra la Soprintendenza — il Soprintendente di allora era Guglielmo Pacchioni a cui successe nell’estate del 1949 Luigi Crema — il Comune di Milano e la Società Sogene occupata nella costruzione del vicino Hotel dei Cavalieri su progetto di Emilio Lancia, si compivano le opere di demolizione di quel che rimaneva dell’edificio.

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Fu salvata dalle demolizioni la cripta, percepita già allora come la parte più vetusta dell’edificio – la Soprintendenza ottenne dalla Municipalità l’impegno a conservarla e consolidarla – e si mantenne anche una porzione di muratura superiore, corrispondente alla conca absidale.

Ma naufragarono altrove la facciata, che in ultimo fu trasferita al nuovo tempio valdese, e una scultura rappresentante San Giovanni Battista, che per secoli era rimasta entro una nicchia, proprio alla sommità della facciata e che grazie all’illuminato interessamento di Costantino Baroni — allora conservatore delle raccolte civiche — fu consegnata al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco.

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Stessa sorte toccò a molti dei dipinti riaffiorati, quasi sempre con sorpresa e stupore, durante le demolizioni; così fu il destino, ad esempio, della bella Annunciazione tardomedievale che decorava l’ampio arco trionfale (ora al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano), ma alcuni frammenti rimarranno sulle pareti della cripta fino agli anni ’60.
I lavori invece si protrarranno ancora fino al 1951 almeno, con la sistemazione della cripta, richiesta strenuamente dalla Soprintendenza, quale oggi noi la vediamo, a far da “moncone-spartitraffico” della via Albricci.

Bibliografia

S. Pesenti, Milano post-bellica. La ‘racchetta’ e i suoi monumenti. Questioni di tutela monumentale e archeologica nella ricostruzione urbanistica e architettonica del centro storico, Altralinea, Milano 2018, pp. 89-105.

E. Colombo, Come si governava Milano: politiche pubbliche nel secondo Ottocento, Franco Angeli, Milano 2005.

A. Scotti Tosini, Francesco Castelli e il restauro di San Giovanni in Conca a Milano (1663-1666): una testimonianza di Andrea Biffi e alcuni disegni di fine secolo, in Per Franco Barbieri. Studi di storia dell’arte e dell’architettura, a cura di E. Avagnina e G. Beltramini, Venezia, 2004, pp. 419-433.

M. David, San Giovanni in Conca e San Protaso “ad Monachos”: demolizioni, restauri e scavi archeologici nel centro storico di Milano, in Atti del Secondo colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico (Roma, 5-7 dicembre 1994), Bordighera – Istituto internazionale di studi liguri, 1995, pp. 541-550.

 
 
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