



© Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli,
Castello Sforzesco, Milano
SAN GIOVANNI IN CONCA
Questioni di facciata

La bella facciata di San Giovanni in Conca aveva una caratteristica: due finestre ai lati del rosone che si aprivano sul cielo, come due occhi blu. Così si presentava al passante trecentesco. Ma in epoca imprecisabile fu privata dei suoi “occhi” e neanche la comunità valdese, che nel 1952 la volle per il suo nuovo tempio, poté restituirglieli. Quasi sicuramente perché nessuno si ricordava che le due finestre erano state concepite per inquadrare sempre una porzione di cielo. Del resto, da secoli non lo facevano più.
La facciata della basilica di San Giovanni in Conca appartenne alla tipologia della facciata a vento, la cui caratteristica principale è quella di avere ai lati del rosone due finestre che si aprono sul cielo. Così si presentava al passante trecentesco.
Purtroppo però, in epoca imprecisabile, quelle due aperture furono murate e vennero riscoperte dall’architetto Angelo Colla (1827-1892) solo verso il 1878, quando intorno alla chiesa si era acceso il dibattito sul se e come preservarla dal momento che ostacolava il progetto della realizzazione di un nuovo rettilineo: la via Carlo Alberto (oggi via Mazzini). Si arrivò a ipotizzare che tale strada potesse passare in mezzo alla chiesa, della quale si sarebbero potute conservare due porzioni. La parte anteriore avrebbe mantenuto la facciata con le finestre che inquadravano il cielo, mentre per quella posteriore si sarebbe realizzata una nuova facciata in stile.
Ma sul tavolo delle proposte c’era anche quella di buttare giù l’intera chiesa e di smontare e conservare solo la facciata, le cui parti, “diligentemente numerate e conservate”, avrebbero potuto essere rimontate come prospetto “di qualche sacro edifizio, affine per istile e per età a quello di cui ragioniamo; non senza far pervenire ai posteri esatta notizia della traslazione, mediante apposite lapidi da collocarsi nella antica e nuova sede” (Angelo Colla, relazione del 1878).
Alla fine, per permettere la realizzazione del “più bel rettilineo di Milano” si distrusse l’intera porzione anteriore della chiesa, della quale fu preservata solo la facciata, e si mantenne la zona posteriore.
Tutto quello che non venne distrutto fu restaurato (malamente! Fece notare un architetto che si chiamava Tito Vespasiano Paravicini) e la facciata fu disposta lungo il margine obliquo del nuovo mozzicone di chiesa.
Parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Italo Calvino, si potrebbe dire che quella che rimase in piedi era “la chiesa dei Visconti dimezzata”.
E la mezza chiesa rimasta era, a causa dei restauri subiti, una metà non esattamente “buona”. La facciata era stata privata dei suoi occhi blu come il cielo, ovvero le due finestre ai lati del rosone erano state leggermente modificate e per di più adesso si trovarono a essere rivolte verso l’interno dell’invaso chiesastico per portarvi la luce del sole nelle ore diurne. Nel 1881 il “nuovo” edificio venne inaugurato come luogo di culto officiato dalla comunità valdese.
Fino al 1948 quella strana chiesa rimase al suo posto, ma ancora intralciava il nuovo piano regolatore e si decise di demolirla completamente.
La comunità valdese, che avrebbe dovuto lasciare il suo tempio, chiese di poter portare con sé la facciata per apporla alla nuova chiesa che per essa sarebbe stata costruita in via Francesco Sforza. Ancora una volta la facciata fu smontata e conservata, e nel 1952 la si rimontò come prospetto di un edificio progettato dall’ingegner Natale De Molinari.
Nessuno si ricordava più che le due finestre poste ai lati del rosone erano state concepite per inquadrare sempre una porzione di cielo, e da secoli non lo fanno più.