© Arcidiocesi di Milano –
Foto Domenico Ventura
PALAZZO ARCIVESCOVILE
Indizi di una città
colorata
Nel corso del Medioevo l’uso di dipingere le facciate è stato molto più diffuso di quanto si possa immaginare. A tale prassi non fu estranea neppure la città di Milano, come dimostrano gli indizi conservati sui prospetti del palazzo del “magnifico arcivescovo” Giovanni Visconti. Doveva essere molto bello questo edificio dalla veste policroma, una dimora per molti aspetti unica nel panorama architettonico milanese del Trecento.
Ci sono casi in cui le tracce del passato, anche di un passato straordinariamente lontano, tenacemente persistono.
Il fatto risulta ancora più sorprendente quando tali tracce sono collocate sugli esterni degli edifici e quando, soprattutto, appartengono a una produzione pittorica che lungamente è stata considerata “superficie di sacrificio”. Tale è il caso delle facciate dipinte, in special modo di quelle riferibili al periodo medievale.
L’uso di dipingere le facciate dovette essere in questo periodo molto più diffuso di quanto si possa immaginare, ma la rarità di attestazioni fa sì che si guardi con meraviglia a casi come quello di Treviso: “città dipinta” tra le più note proprio per il fatto di aver conservato un notevole numero di testimonianze, che documentano la consuetudine che sul lungo periodo si ebbe con questo tipo di finitura architettonica.
Eppure qualche traccia in tal senso si trova anche nella città di Milano, in pieno centro. Sopravvissuta al succedersi dei secoli, delle stagioni climatiche e di quelle del gusto è rimasta tenacemente abbarbicata sugli esterni del Palazzo arcivescovile, su facciate che originariamente vennero fatte decorare da Giovanni Visconti (morto nel 1354), ma che, stando a quanto si apprezza sul prospetto che dà su via delle Ore, continuarono a essere interessate da rivestimenti pittorici anche nei secoli successivi.
Tra i frammenti superstiti, sono a oggi rimasti celati ai più, a causa della “percezione distratta” che spesso caratterizza la quotidianità, quelli facenti parte di una modanatura plastico-pittorica, originariamente collocata nella porzione immediatamente sottostante le bifore che caratterizzarono la fabbrica viscontea.
È in modo particolare sul fronte prospiciente il Duomo che si vedono i segmenti di un’elegante cornicetta fittile incisa da un motivo ad angoli spezzati, al di sotto della quale si svolge un intreccio di archetti ciechi cuspidati e lobati, ospitanti, ormai solo in alcuni punti e in maniera frammentaria, le immagini dipinte di piccole vipere divoratrici, simbolo della casata milanese. Secondo quanto si vede in altri punti della stessa facciata, al di sotto di questa ossessiva reiterazione araldica correva una striscia dipinta al cui interno si svolgeva una serie continua di rombi bianchi.
Questa raffinata modanatura di genere misto un tempo cingeva tutti e quattro i prospetti dell’edificio, ma essa non è che solo un brano di quella che dovette essere una vera e propria intelaiatura decorativa, che potrebbe aver contemplato, per esempio, almeno un’altra banda e/o modanatura colorata, che, posta a fasciare i quattro lati del palazzo in corrispondenza del filo di gronda, avrebbe contribuito a meglio contestualizzare l’aspetto decisamente policromo delle bifore trecentesche.
Queste ultime furono infatti interessate da estesi interventi pittorici: stando alle sopravvivenze, decorati dovettero essere i fusti delle semicolonne, gli sguanci e gli intradossi.
Completava l’intelaiatura decorativa dell’edificio l’incorniciatura degli ingressi. Questi ultimi, secondo quanto mostrano i resti di quello che si vede su via di Palazzo Reale, dovettero essere archiacuti e caratterizzati da ghiere bianche e rosse, impreziosite nella parte più esterna da una sezione ospitante una teoria di rombi intarsiati, che con ritmo ternario si presentano ora rossi e ora bianchi, in contrapposizione cromatica con il colore del fondo che li ospita.
La presenza di complementi scultorei – come il monumentale stemma con il biscione che si vede sul fronte prospiciente il Duomo – avrebbe ulteriormente contribuito all’aspetto indubbiamente fastoso e colorato del palazzo del “magnifico arcivescovo”, quel Giovanni Visconti del quale il contemporaneo Galvano Fiamma ebbe a sottolineare le favolose disponibilità finanziarie, indicandolo come capace di spendere più di quanto all’epoca potessero fare quattro cardinali messi insieme!